Il chicco di caffè contiene una parte rilevante di olio, che con la tostatura migra verso la superficie. L’esposizione all’aria ed alla luce comporta l’attivazione di fenomeni ossidativi, causa di sapori e odori anomali.
Durante la conservazione, in altre parole, il caffè tostato subisce modifiche chimiche e fisiche notevoli, che incidono sensibilmente sulla qualità della bevanda (rilascio di anidride carbonica, assorbimento di sostanze volatili e migrazione di oli verso la superficie).
Eppure, dalla prima immissione sul mercato, il packaging flessibile destinato al caffè non ha subito ammodernamenti: oggi come ieri è composto da Alluminio, prodotto non recuperabile in una struttura mista plastica, destinata inevitabilmente alla termovalorizzazione.
Il recente aumento del prezzo delle materie prime (come l’alluminio e l’EVOH) e l’urgenza della riduzione del peso della confezione e della sua riciclablità, in ottica di sostenibilità, rilanciano il valore del recente studio condotto da FLESSOFAB per individuare le migliori soluzioni per il confezionamento di caffè: una sperimentazione avviata nel 2018, quando le nuove tecnologie di estrusione, laccatura e metallizzazione permisero di approcciare a nuovi materiali plastici base PET, PP e PE.
Lo studio, condotto in collaborazione con CNR e Facoltà di Agraria dell’Università Federico II di Napoli, ha inteso caratterizzare i nuovi polimeri disponibili sul mercato in ottica di sostenibilità e performance macchina (lavorabilità nel ciclo di converting); caratterizzare le nuove soluzioni di packaging andando a combinare le materie prime individuate nella prima fase, valutandone le performance in fase di confezionamento; valutare le nuove strutture polimeriche in termini di shelf life rispetto alle strutture standard, in ottica di riciclabilità, misurandone l’impatto economico (resa e prezzo).